L'ultima neve d'inverno, di Stina Jackson (recensione)


Nonostante il calendario dica che la primavera è ormai iniziata, l’inverno si rifiuta di allentare la sua gelida morsa su Ödesmark, piccola comunità del freddo Nord della Svezia. La maggior parte degli abitanti del villaggio non desidera altro che andarsene e in tanti l’hanno fatto: per ogni casa con la luce accesa ce ne sono molte altre abbandonate a un lento degrado. Per questo, chi non è ancora riuscito a lasciare quel posto desolato si chiede perché Liv si ostini a rimanere. Liv che lavora tutto il giorno alla stazione di servizio. Liv che ha un figlio adolescente ma nessuno sa da chi l’abbia avuto. Liv che viene accompagnata ovunque da Vidar, suo padre, l’uomo più ricco della zona. Liv che sa che i pochi vicini rimasti la guardano, sparlano alle sue spalle, si interrogano sulla sua famiglia e sugli affari oscuri di Vidar, un uomo al quale i nemici non mancano… Liv sa perfettamente che a Ödesmark nessuno dimentica mai niente. Per questo, quando la neve si tinge di sangue, Liv stessa finisce nell’elenco dei possibili responsabili. Ma la verità è ben sotto la superficie ghiacciata delle apparenze…
Con una cifra stilistica del tutto personale e una storia tanto fitta quanto commovente, Stina Jackson esplora il lato oscuro dei legami tra persone e tra i luoghi della loro esistenza. E quanto questi legami possano essere ferocemente, spaventosamente indistruttibili.

RECENSIONE

Nella stazione di servizio di un villaggio frustato da pioggia e neve, una ragazza di facili costumi abborda un camionista, con l’intenzione di scappare di casa. Un incipit che si interrompe sul più bello, senza che veniamo a saperne l’esito: già questo è presagio di sventura.

L’episodio successivo ci rivela che la storia si sviluppa su due diversi piani temporali: nella stessa stazione di servizio adesso lavora Liv, una donna matura che vive insieme al padre e al figlio adolescente nella casa in cui è cresciuta. Anche lei vorrebbe fuggire, ma qualcosa glielo impedisce: la madre è morta e il padre è un tiranno ricco e avaro, che tiene Liv prigioniera con le armi del controllo e del ricatto morale.

Ciò basta a evocare il tema archetipico sottinteso alla storia: il conflitto fra padre e figlia, fra legame viscerale di sangue e desiderio di libertà. Per un motivo che non ci viene mai rivelato, la figlia non ha la forza di spezzare il cordone ombelicale che la lega al padre padrone.

È una situazione in cui Liv soffre tormenti indicibili, fino al momento in cui gli eventi precipitano: una notte il padre esce di casa con il fucile e scompare. Pochi giorni dopo viene ritrovato in fondo a un pozzo, con una pallottola in testa.

Chi è stato a ucciderlo? Forse l’affittuario Johnny, un tipo solitario con cui Liv ha una relazione sessuale invisa al padre? Oppure Liam, ex spacciatore di droga che ha bisogno di soldi per rifarsi una vita? O il colpevole è Juha, un cacciatore eremita che ha avuto in passato una storia d’amore con Liv, prima che il padre tiranno li separasse? Questi personaggi, caratterizzati con poche ma sapienti pennellate, hanno un comune denominatore: la solitudine, l’emarginazione dalla comunità del villaggio, l’esistenza ridotta agli istinti primordiali. Ciascuno aveva un motivo per uccidere il vecchio.

Anche l’ambientazione assurge al ruolo di personaggio: siamo in una landa isolata in riva a un lago, soltanto alcune case del villaggio sono abitate. L’atmosfera è pervasa dalla neve, dalle ombre del bosco, dai vapori esalanti dal terreno, da scarpe grosse, volti arrossati e fuochi accesi. Gli odori sono quelli della pioggia, del marcio, di carni macellate, di sporco. I rumori sono quelli del vento, delle frasche, dei corsi d’acqua, degli uccelli. Qui la natura regna incontrastata, simbolo della parte più recondita della natura umana.

Benché sia un omicidio a innestare la storia, non si tratta di un thriller poliziesco: le indagini della polizia giocano un ruolo marginale. È invece la protagonista a indagare di propria iniziativa. Tormentata da un dolore tanto assurdo quanto reale per la perdita del padre padrone, Liv si mette da sola alla ricerca dell’omicida. Percorre i boschi in lungo e in largo, raccoglie tracce, fa parlare i sospettati, fino a credere di aver trovato la soluzione dell’enigma. È andata veramente come tutti credono oppure è stato un incidente? Alla ricerca della verità, sarà costretta a fare i conti con una realtà mostruosa, di cui ha sempre sospettato l’esistenza.

Nel finale, che coglierà il lettore di sorpresa, si congiungono i due piani temporali sui quali si sviluppa la narrazione e vanno al loro posto i tasselli finora affidati ai diversi punti di vista, come un puzzle che infine si manifesta nella sua semplicità. All’efficacia del colpo di scena conclusivo contribuisce una gestione non convenzionale delle linee narrative, dove il presente è passato e il passato è presente.

Consigliato a tutti gli amanti del genere, questo thriller immerge il lettore nelle algide atmosfere del profondo nord, fino a fargli sentire i brividi di freddo sulla pelle. Ma quanto più esotica è l’ambientazione, tanto più universale è il conflitto evocato dalla storia, in grado di suscitare un’inevitabile empatia per la protagonista: un conflitto che ruota attorno all’eterna lotta fra le generazioni, in cui soltanto la morte (reale o figurata) del padre consente all’individuo di affermare la propria libertà.

Questa recensione è comparsa su https://thrillernord.it/

Autore: Stina Jackson

Editore: Longanesi

Genere: thriller

Pagine: 345

Pubblicazione: febbraio 2022

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